Pubblicata il 9 febbraio 2022 sul sito web pq La scintilla, blog di cultura, critica, arte, recensioni
Di recente, sono andato a trovarlo nella sua casa di Milano, per proporgli qualche domanda sulla sua vita e sul suo “mestiere” di pittore.
Antonio, parla dei tuoi inizi.
I miei inizi pittorici avvennero negli anni quaranta quando fui avviato al disegno e ai pastelli colorati, piuttosto che al solfeggio musicale suggerito da mia madre, che bonariamente mi immaginava come futuro organista; ma il maestro di musica, il sacerdote don Gino, parroco della SS. Annunziata di Pontremoli e amico di famiglia, propose ben presto, a ragion veduta, il “cambio” dalla musica alla pittura che fu decisamente proficuo. L’interesse per la pittura maturò ulteriormente negli anni quaranta, quando sbirciavo attraverso la finestra del pittore Remo Bianco che aveva lo studio di fianco all’abitazione milanese di mia zia Angelina. Quando il maestro si accorse che guardavo di nascosto il suo lavoro, mi invitò ad entrare per poterlo osservare direttamente. Da quel momento, ritengo di aver appreso gradualmente gli autentici valori dell’arte e in particolare quanto fosse importante la ricerca specifica della “materia pittorica” e la suggestione che poteva suscitare.
Chi ti sostenne fin dall’inizio?
Il primo critico d’arte che mi ha sostenuto è stato Giorgio Kaisserlian, il quale mi era stato presentato dal collezionista di libri antichi Ermenegildo Granata (caro amico di mio suocero Galileo) il quale, con grande generosità e fiducia nei miei confronti, mi offrì uno studio di fianco al suo appartamento e a quello dello stesso critico d’arte, nel centro di Milano. Kaisserlian in tale circostanza mi frequentava quasi quotidianamente, seguendo il mio lavoro nei minimi dettagli. Presto mi indirizzò verso Mino Pater, titolare dell’omonima galleria d’arte a Milano, che veniva periodicamente nel mio studio per vedere i quadri, rimanendone generalmente soddisfatto. Purtroppo, questa favorevole situazione durò poco tempo perché prima Kaisserlian e poco dopo anche Granata morirono e rimasi così senza i miei principali sostenitori. Però Mino Pater, già al corrente della situazione, di lì a poco decise di allestire la mia mostra personale presentata dal critico d’arte Gino Traversi con accenni anche a Giorgio Kaisserlian: era il 1971.
A questo punto si potrebbe intendere che la situazione sarebbe stata tutta da rifare.
Invece no. Durante alcune riflessioni con Gino Traversi, mi riuscì di ricordare di aver conosciuto parecchi anni prima il critico d’arte Mario De Micheli che, in poco tempo, sono riuscito a contattare presso la facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, dove teneva un corso di storia dell’arte. Così, dopo un brevissimo periodo di aggiornamento, venne nel mio studio che, nel frattempo, avevo trasferito in un ampio locale lungo il naviglio e di lì a poco presentò una mia mostra di disegni presso la Biblioteca Civica di Saronno.
E in seguito?
Successivamente venni introdotto da Mario De Micheli alla Galleria Ciovasso di Milano, diretta da Giovanni Billari, che aveva costituito un gruppo di artisti, fra i quali, i pittori Gabriele Mucchi, Aurelio C. (Ceccarelli), Luigi Biffi, Remo Pasetto, Pippo Spinoccia, Mirko Gualerzi, Franco Migliaccio, e altri operanti all’interno del periodo storico denominato “Realismo critico/oggettivo”. Dopo questa mostra, la mia pittura si rivolge all’impegno sociale, alle problematiche dell’emigrazione, a quelle del lavoro nelle fabbriche ed al sindacato.
Tutti nomi di artisti noti a Milano, se ne aggiunsero poi altri.
Certo, quelli con cui ho operato in quel periodo sono stati anche Giuseppe Scalvini, Bianca Orsi, Ernesto Treccani, Enzo Vicentini, Dimitri Plescan, Ernesto Tavernari, Luigi Timoncini, Gioxe De Micheli, Giansisto Gasparini, Alberto Venditti e altri.
E tra i critici d’arte, i galleristi e gli editori chi si sono interessati alla tua pittura?
Tra i tanti, quelli che mi hanno seguito più da vicino vorrei ricordare Mario De Micheli, Rossana Bossaglia, Raffaele De Grada, Giorgio Seveso, Gianni Pre, Giuseppe Possa, Felice Bonalumi, Luca Pietro Nicoletti, Teresa Garofalo, Pino Zanchi, Mario Portalupi, Marcello Venturoli, Renato Valerio, Montoya, Giorgio Mascherpa, Dino Campini, Dino Villani. Dei galleristi che nei vari anni mi hanno molto seguito ricorderei anche Arianna e Adalberto Sartori della Galleria Sartori di Mantova e la famiglia Forni dell’omonima Galleria di Bologna. Mi vengono in mente anche tre editori che sono Grabriele Mazzotta, Antonio Vangelista e Nicola Teti, l’Editoriale Giorgio Mondadori.
Raccontaci dell’ispirazione del tuo lavoro, della tua ricerca e cosa hai dipinto negli anni.
Come ho avuto già modo di dire anche in altre circostanze, i miei esordi artistici, attorno agli anni Quaranta/Cinquanta, sono stati caratterizzati dall’amore per la pittura degli impressionisti: la libertà di cui si nutrivano, il rifiuto di ogni convenzione accademica, un certo modo di dipingere inteso come vero e proprio linguaggio pittorico, mi indusse a studiare e riprodurre alcune loro opere: fu un periodo pittoricamente felice. Ma i pittori, come del resto ogni comune mortale, rimangono inevitabilmente immersi nel clima politico-culturale dell’epoca in cui vivono, tanto che i loro pensieri e le loro espressioni artistiche non possono essere da esso disgiunti. Nel clima, dunque, di accesi scontri ideologici, culturali e lotte sindacali, non sempre la felicità e la gioia di vivere degli impressionisti trovavano diritto di cittadinanza nell’ambito della mia coscienza civile.
Quali tecniche hai utilizzato?
Il senso “materia pittorica” che ho menzionato precedentemente destò sempre il mio interesse e quindi mi sono sempre occupato anche della ricerca dei materiali e delle tecniche. In senso generale posso dire di avere iniziato con acquerelli e colori ad olio, preferendo sempre una superficie liscia e morbida come la tela. Successivamente, iniziando ad impiegare anche i colori acrilici e polimerici, introdussi l’uso di lastre di masonite che si prestavano molto bene per mescolare i colori con altri materiali eterogenei quali, ad esempio, la sabbia, il pietrisco, alcuni metalli, materiali di plastica e molto altro; il tutto allo scopo di raggiungere il livello di emozione che desideravo esprimere con ogni mia opera.
Come definisci il tuo lavoro in generale?
Una caratteristica essenziale del mio lavoro è la libertà di espressione rivolta al clima politico, sociale e culturale dei vari periodi che ho vissuto e vivo. Da qui l’origine della ricerca in varie direzioni, a volte anche contrastanti, per trovare un linguaggio pittorico atto ad esprimere il senso di ciò che vivevo e che volevo rappresentare.
C’è un episodio che ha determinato il tuo passaggio da un sogno d’arte a una professione d’artista?
Fin dall’inizio mi sono dedicato all’analisi critica della realtà e quindi non è mai esistito un sogno d’arte, ma c’è sempre stata la necessità di operare da subito, nei limiti del possibile, in un contesto professionale e quindi il “passaggio” contenuto nella domanda, se c’è stato è stato sicuramente naturale.
Quali sono state le mostre più importanti della tua carriera?
Tutte le mostre che ho allestito nei vari anni le ho vissute e preparate con estremo impegno e partecipazione, tant’è che potrei concludere questa domanda dicendo che a mio avviso tutte le mostre sono state importanti. Però penso che la più importante in assoluto sia stata l’Antologica 1959-2011 (“Un viaggiatore nel tempo”), presso Cascina Roma di San Donato Milanese (MI). In corrispondenza di questa mostra è stata realizzata un’importante monografia dal titolo “Un viaggiatore nel tempo”.
Parla della pittura che hai vissuto tu dagli anni 60 a oggi.
I vari cicli che ho proposto nel tempo, essendosi susseguiti per una trentina d’anni, rivelavano esiti pittorici piuttosto diversi poiché durante questo lungo tempo credo si sia verificato un processo progressivo di crescita e una presa di coscienza più risoluta nei confronti del mondo oggettivo che volevo indagare. In questo primo periodo le tematiche erano rivolte al tormentato mondo proletario, al lavoro operaio, all’emigrazione, all’impegno sindacale, all’ambiente, al degrado urbano, all’inquinamento ed all’ecologia. Penso che Van Gogh abbia analizzato e rappresentato le tematiche di cui mi sono occupato anche io e, a tale proposito, ho dedicato un ciclo di opere proprio a quel grande artista. Un altro tema che ho sviluppato in seguito era rivolto all’arte sacra. Questo, dunque, è il percorso che mi ha coinvolto eticamente e artisticamente per una quarantina di anni; ritengo questo mio impegno abbastanza esaustivo in rapporto al mio lavoro, poiché in esso ha sempre prevalso il tentativo di capire i mutamenti e gli interrogativi posti dalla mia epoca, cercando di interpretarla pittoricamente, a volte razionalmente, a volte emotivamente, ma senza enfasi né tendenze di moda e senza mai staccarmi dalle verità e dai valori fondamentali che regolano i ritmi della vita.
Hai qualche consiglio da dare ai giovani artisti emergenti.
Non seguire le mode, ma solamente il proprio istinto artistico. Se economicamente possibile, consiglio ai giovani di non seguire le leggi del mercato, ma di esprimersi possibilmente in coerenza con la propria visione del mondo e dell’Arte. Cercare di mantenere alto il livello di dedizione pure e soprattutto nei momenti di eventuale difficoltà. Anche se spesso è difficile, non confondere l’Arte con altre forme di espressione che il più delle volte sono effimere, di moda e decantati, ma che non hanno nulla a che vedere con essa.
Cosa hai ancora intenzione di fare in futuro?
Mantenere la presenza nelle manifestazioni, nei cataloghi di mio interesse e continuare pittoricamente il mio “viaggio nel tempo”.